Loudness: la guerra che schiaccia il suono!

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Nel vasto pubblico della musica elettronica esiste da sempre una nutrita schiera di individui che tentano, almeno una volta, di andare al di là del semplice ascolto. Questa schiera si è ovviamente accresciuta in maniera esponenziale da quando, circa vent’anni fa, grazie alla nascita e alla commercializzazione di programmi di editing audio per pc, cimentarsi nella produzione domestica è diventato infinitamente più semplice. Ovviamente ciò ha i suoi vantaggi e svantaggi, ma di questo vi ho già parlato nel mio primo articolo di questa rubrica. Oggi voglio piuttosto parlarvi di un argomento non proprio leggero e di semplice comprensione ma che, a mio avviso, una volta compreso affondo cambierà il vostro modo di concepire e soprattutto percepire la musica.

Nel corso degli anni, in particolare dopo la nascita delle prime piattaforme di riproduzione digitale nel 1979 (anno di nascita del Compact Disc) l’industria musicale ha cominciato a produrre musica anno dopo anno con livelli di loudness sempre maggiori. La loudness altro non è che il volume percepito all’ascolto. Fin quando è stato possibile, gli studi discografici si sono limitati a finalizzare i prodotti in fase di mastering con un volume in uscita maggiore in termini di decibels rispetto ai prodotti concorrenti o semplicemente a quelli di qualche anno prima – tutto ciò, sia chiaro, non per loro scelta ma per imposizione dei produttori artistici che curavano prettamente gli interessi di mercato delle labels –, e fin qui tutto bene. Era sufficiente abbassare il volume della periferica di riproduzione qualora non si volesse essere invasi dal volume.

Il vero problema comincia a sorgere quando si toccano i livelli massimi di decibels sostenibili dal cd o più in generale dal sistema di codifica digitale del segnale sonoro: è stato allora che si è cominciato ad agire specificamente sulla loudness in maniera invasiva.
Cercherò di farla semplice. Per questioni psicoacustiche (ovvero in merito a come l’orecchio umano percepisce il suono e come contingentemente il cervello lo decodifica) l’unico modo per rendere più alto un suono rispetto ad un altro a parità di volume effettivo è ridurre la banda dinamica (ovvero le differenze tra suoni appositamente più bassi e altri più alti) in modo da appiattire le differenze tra le frequenze che l’orecchio sente meno e quelle che sente di più. Il risultato è che, rendendo le varie bande comparabili in termini di percezione, il loro volume, che in una riproduzione dinamicamente fedele allo strumento fisico si eliderebbe in maniera naturale, si somma dando l’impressione di un volume più alto. Provo a farla ancora più semplice. È esattamente quello che succede quando guardate un film in tv e al partire della pubblicità vi sembra che qualcuno abbia alzato a manetta il volume del televisore. In realtà quello che succede è che l’audio del cinema non ha bisogno di appiattimenti dinamici (anzi deve il suo effetto proprio alla presenza di picchi improvvisi che sottolineano l’enfasi di alcune scene), mentre quello della pubblicità è lavorato in modo tale da essere percepito dall’orecchio anche se non vi si presta particolare attenzione. In poche parole, non ha più volume, ha più loudness.



Ma anche qui la soluzione è semplice: basta cambiare canale durante la pubblicità come fanno tutti. Vediamo invece in che modo questa battaglia del volume danneggia la musica. Di seguito un video probabilmente molto più eloquente delle mie parole. Ascoltatelo in cuffia se potete o da un paio di casse, non dallo speaker integrato del laptop né da quello dello smartphone.

Quello che sentite nella prima metà del video è una simulazione verosimile di come suonerebbe Smells Like Teen Spirits se a produrla fosse stato il mercato del 2010 e non la mano dell’immenso Butch Vig nel 1991. L’altra parte del video vi fa ascoltare come dovrebbe suonare, ed effettivamente suona, lo stesso brano con livelli di compressione meno drammatici, che aumentano sì la loudness in maniera funzionale all’indole del brano, ma ne rispettano la dinamica!
Proprio la dinamica nella musica è tutt’altro che secondaria: sono, ad esempio, le differenze di volume percepito che ci danno la possibilità di emozionarci per l’ingresso della batteria di Dave Grohl in questo brano (il fill più famoso della storia probabilmente) o per un assolo di chitarra di David Gilmour. La differenze all’interno di un brano tra parti meno enfatiche e parti che lo sono di più si traduce in differenze di volume percepito per cui, va da sé, un brano dinamicamente piatto è meno emozionale. Provate a immaginare di guardare un film di due ore con i contrasti di colore al massimo della possibilita della vostra tv. Anzi, provate a farlo: il concetto è lo stesso.

C’è poi da considerare che livelli di compressione della gamma dinamica alti come quelli raggiunti negli ultimi dieci anni riescono a intaccare, oltre che la dinamica del brano, anche la dinamica dei singoli transienti all’interno del brano. Un colpo di rullante isolato, per esempio, ha una forma d’onda simile a questa:

transiente

in cui la parte più ampia a sinistra corrisponde all’istante dell’impatto e quella a destra alla coda sonora tipicamente frusciante del rullante. Se la comprimiamo secondo gli standard utilizzati per la maggioranza dei prodotti odierni la sua forma d’onda somiglierà ad un rettangolo pieno in cui non c’è quasi alcuna differenza tra l’impatto e la coda: il suono che era uno «stomp» si trasforma in «tfoo», per cercare di rendere l’idea con delle onomatopee. Quindi a risentirne non è solo l’agogica del brano, ma anche la “leggibilità” dei singoli strumenti il cui suono viene denaturato.

Quelli come me, che hanno tante pretese in merito all’acustica e che il volume preferiscono sceglierselo ancora da soli usando la manopola dello stereo, sono stati definiti da qualcuno “audiofili”. Non so se accettare o meno questa definizione: quello che so per certo è che l’espressività della musica è tutto.

Spero davvero di essere stato sufficientemente chiaro e di avere invitato un po’ di ascoltatori a riflettere e vedere la musica sotto una nuova ottica, più comune agli addetti ai lavori che agli ascoltatori, ma che, a mio avviso, può migliorare la capacità di percepirla a fondo anche nel semplice utente. Anche la guerra contro questo fenomeno rientra nella mia ossessiva ricerca di quel bello di cui il mondo ha sempre più bisogno…

Riempitevi le orecchie di suono, non di volume!

Vi lascio con un mio personale tributo ai sopra citati Nirvana. Come sempre, buona produzione e buon ascolto a tutti.

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