Stracult: Malizia

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Laura Antonelli è stata, con ogni probabilità, la più bella e conturbante attrice italiana dello scorso secolo, con una parabola esistenziale assai triste ed altrettanto nota che l’ha ormai resa una sorta di “postuma in vita”, dimenticata ed abbandonata alla propria solitudine, dimentica di sé stessa e di una vita probabilmente assai triste, dietro le luci della ribalta.

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Già nel massimo fulgore della propria carriera, del resto, l’attrice di origini istriane vide forse schiacciato il proprio talento e la propria verve – anche brillante – dalla sua non comune bellezza, venendo sottoutilizzata per film in cui il suo fascino magnetico era una sorta di specchio per le allodole del pubblico (che accorreva numeroso), lavori nei quali la nostra veniva ormai schiacciata nel personaggio della bellezza apparentemente pudica, ma intrinsecamente peccatrice e peccaminosa. Purtroppo fu costretta a riproporre personaggi simili sino alla metà degli anni ’80, prima di abbandonare forzosamente le scene nei primi anni ’90, a causa di problemi di vario genere, sui quali è meglio sorvolare, in questa sede.

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“Malizia” del regista padovano Salvatore Samperi (’74) è il film che lanciò definitivamente in orbita il personaggio Antonelli – prima ancora che l’attrice – turbando i sogni di tutte le generazioni di cinefili che hanno potuto vedere questo lungometraggio (non solo dei giovani di trentaquattro anni fa, per intenderci) grazie ad una furba commissione di innocenza e turbamento, famiglia e tradimento, atmosfere domestiche e sessualità, ben simboleggiate dalla celeberrima locandina, a propria volta sintesi della più nota scena del film. A ciò aggiungiamo inconsci riferimenti incestuosi, ed il mito erotico di ogni adolescente: perdere la propria verginità con una donna relativamente più grande ed esperta.



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Riassumo la trama ad uso di chi non abbia visto il film: un vedovo catanese, padre di tre figli, assume una giovane ed affascinante governante che dovrà prendersi cura della casa e della famiglia a seguito della scomparsa della moglie. La ragazza scatena le fantasie dei tre figli, ed in particolare del figlio di mezzo, che, in un gioco di reciproca seduzione, contraddistinto talvolta da un certo sadismo, fa della donna il proprio sogno erotico, sostituendola parallelamente, quasi come un transfert, alla madre. Frattanto, la stessa ragazza diviene la promessa sposa del padre, scatenando nel figlio una forma di gelosia e competizione rispetto al genitore (frammista probabilmente alla rabbia di veder sostituita la madre defunta nel letto paterno), che culminerà in un finale forse non inatteso, ma – a ben vedere – non del tutto scontato…

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Nel complesso, va detto senza eccessivi scrupoli, si tratta di un film piuttosto modesto, salvato dalla recitazione di ottimi caratteristi, primo fra tutti Turi Ferro, dalla convincente (ed a mio avviso coinvolta) recitazione del giovane Alessandro Momo (morto alcuni mesi dopo le riprese), nonché dal fascino di altre due donne che rappresentano, triangolarmente, il complemento del personaggio della Antonelli: Angela Luce e Tina Aumont, rispettivamente nella parte di una sensuale donna matura e della giovane e provocante amica dei figli del vedovo, a simboleggiare una sorta di evoluzione delle caratteristiche erotiche delle donne italiane a cavallo degli anni ’50, ’60, ’70. La trama appare, nel complesso banale (forse perché l’epitome dei sogni di molti), la psicologia dei personaggi abbozzata (anche se la superficialità del tutto può dare il via alle speculazioni dei patiti del “non detto” o “non raffigurato”), l’ambientazione sicula all’insegna dei più triti luoghi comuni, erede delle atmosfere alla Brancati e di “Divorzio all’italiana” di Germi.

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L’aspetto forse più interessante del film va trovato, probabilmente, nel mistero che circonda le donne, e nella loro raffigurazione: a ben guardare, infatti, in “Malizia” la donna non è semplice oggetto – come in parte suggeriva la morale italiana del primo novecento – ma si fa motore delle passioni degli uomini, gioca con loro e con le loro passioni, si dimostra forse superiore ai loro desideri, che orienta e probabilmente guida. Il perché questo accada non viene spiegato, né chiarito, perdendosi nel volto misterioso della protagonista, della quale, in fin dei conti, non si sa granchè, né molto si comprende. Come poco si è compreso di Laura Antonelli, della persona che stava dietro quel personaggio, fino a ritornare, anonima la Laura Antonaz, giovane profuga istriana che, da insegnante di ginnastica, divenne simbolo di certa femminilità, e poi nulla.

La colonna sono di Fred Bongusto è un capolavoro

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