Fan Club Putin, chi sono i russi under 25 che lo adorano

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“Lui è il mio eroe. Mi ispira, aggiunge senso alle mie azioni”

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Fan Club Putin, il bel reportage della fotografa ungherese Bela Doka, mostra gli aspetti più visivamente eclatanti di questo culto del capo: scatti spesso a mezzo busto o in piano americano di veri e propri scenari di adorazione per Vladimir Putin, ma con quella spensieratezza da giovanotti con spillette e jeans anni settanta.

C’è solo un presidente. Dagli Urali a Vladivostok, dallaSiberia al Mar Caspio: Vladimir Putin. L’agiografia e l’ardore per il 63enne plenipotenziario presidentissimo della Federazione Russa, dominio ininterrotto oramai dal 1999 (esclusa la fase del ‘delfino’ Medvedev), sta assumendo i contorni da culto del capo che nemmeno i caudillos dell’America Latina. Prova della consacrazione ne è l’ennesima testimonianza, questa volta fotografica, della cosiddetta “Generation Putin”. Ovvero tutti quei giovani under 25, nati quando già la vecchia madre URSS aveva esalato gli ultimi respiri da guerra fredda. Per questa categoria di giovani russi, generalmente presenti nelle periferie delle grandi città, il più delle volte parecchio scolarizzati o studenti universitari, Putin è una sorta di idolo pop, tra la rockstar e il campione sportivo, da stampare sulle t-shirt o addirittura da immortalare in giganteschi poster da muro nella propria cameretta.

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Fan Club Putin, il bel reportage della fotografa ungherese Bela Doka, ne mostra gli aspetti più visivamente eclatanti. Scatti spesso a mezzo busto o in piano americano di veri e propri scenari di adorazione per il capo supremo, ma con quella spensieratezza da giovanotti con spillette e jeans anni settanta. Si va dall’adolescenteYulia Minazhetdinova, che si fa ritrarre con cappello militare e un Putin “multiplo” alla Warhol (“I miei genitori sono contro il mio hobby. Dicono che non capisco la politica, ma io non la penso così. Putin è il mio eroe. Lui mi ispira, aggiunge senso per le mie azioni quotidiane”); fino a alle ventenne Alina (“Ho un poster con il suo ritratto appeso vicino al mio letto. Possiedo anche alcune magliette con il ritratto di Putin, così come cartoline e adesivi. Mi considero una patriota”) che preferisce la posa di lei sdraiata sul letto e sempre sul letto con lei un’enorme bandiera con il faccione austero del presidente che la osserva.

Nel 2007 a Mosca Bela Doka incontra  un editore di libri fotografici che le suggerisce di lavorare ad una storia che riguardi il Nashi, il movimento giovanile politico giovanile pro-Putin ormai fusosi in un partito politico. La fotografa accetta il lavoro, ma dopo pochi mesi viene in contatto con alcuni membri del Putin Fan Club e la sua mission subisce un cambio di direzione. Incontra l’organizzatore del club ed inizia a intrufolarsi nelle case dei giovani soci. “Ho spiegato loro che ero sinceramente interessata alle giovani generazioni in Russia, che non mi interessavo di politica, che non li giudicavo, che non ero pro o contro di loro. Mi affascinava la loro devozione e la possibilità di mostrarla”, ha spiegato suSlate la fotografa ungherese.

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Invitata dai soci a diverse marce pubbliche pro Putin poco prima del nuovo mandato presidenziale nel 2012, la Doka li segue, li fotografa, ma alla fine non utilizza nemmeno una di quelle foto preferendo invece utilizzare gli scatti d’interni. “Ero più interessata alla loro identità più che alla loro ideologia”, ha raccontato. Ecco perché il reportage Putin Fan Club sembra più una galleria di ritratti di foto di moda che le istantanee di un documentarista. E’ attraverso i vestiti, gli oggetti e l’ambiente circostante ai soggetti ritratti nelle loro case, o in interni di negozi, bar o grandi magazzini, che Bela Doka coglie il ‘decor’ putiniano under 25 del nuovo millennio. Una spinta dell’effimero sostanzialmente, come molte delle passioni estemporanee dell’adolescenza o della primissima maturità. “Posso immaginare che in questo momento la maggior parte di questi ragazzi non sono nemmeno fedeli devoti del Putin politico. E’ come nella musica, ti piace Bon Jovi per tre anni e poi, dopo, forse si inizia ad apprezzare il jazz”.

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Fonte:ilfattoquotidiano

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