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Eco-solidali? Benvenuti nei social, dove anche gli imbecilli parlano.

Perché si apre un blog, un account Instagram o tremila account social? Abbiamo davvero affidato a questi mezzi il compito di aiutarci a comunicare? Se la risposta è positiva, che cosa vogliamo davvero comunicare?

images (2)D’accordo, ci hanno risolto il problema della “multimedialità”, quella cosa di cui ci parlavano a scuola 20 anni fa senza sapere cosa fosse e che oggi sappiamo essere la capacità di rendere un testo più fruibile, tramite immagini, suoni e collegamenti, ma perché sentiamo tutti questo opprimente bisogno di avere un’opinione, anche se non ce l’abbiamo?

Io non ne ho idea, però lo vedo su di me, osservando i miei amici. Il commento sui social, nonostante il più elevato tasso di istruzione o di preparazione culturale, è spesso l’apoteosi della lamentazione continua, la critica a vuoto, varia nei modi e nelle forme, ma comunque fine a se stessa. Tutti siamo diventati dei critici, esattamente come siamo tutti allenatori quando guardiamo una partita in un bar.

download (3)Proprio sui social (e nei bar) si è espresso qualche giorno fa Umberto Eco, insignito di una laurea honoris causa in comunicazione: «I social permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel» [Omissis] – Umberto Eco (ANSA, Il FQ)

Continuando a cercare, nel tentativo di farmi un’opinione, mi è capitato sotto tiro un pezzo di “Li vuoi quei Kiwi?” , un blog gestito sicuramente non da premi Nobel, ma di cui vi riporto degli estratti:

https://www.facebook.com/155062221193738/photos/a.380724245294200.93459.155062221193738/950862351613717/?type=1&theater

«Non so bene cosa voglio dire, ma quando lo dirò, voglio che tutti mi ascoltino complimentandosi, perché lo specchio s’è scocciato di parlarmi.»

Pubblicare video in cui si fanno cose, foto di tutto, sbaniare o condividere roba d’altri è diventato semplicissimo e, a parità di scarso impegno, restituisce più soddisfazione dello scrivere, sensatamente e verificando le fonti, di argomenti che si conoscono.

Quindi tanta gente lo fa.

E se ne scrivono di cazzate, in buona o cattiva fede.

Quindi Eco ha ragione?

Ovvio che si!

Ma ha pure torto.

Il problema non è il diritto di parola, che vale per tutti [non per niente è un diritto! n.d.r], non sono gli imbecilli che parlano, ma quelli in ascolto.

Oggi, grazie al Web, quando vedi una notizia seria e circostanziata soffocata da milioni di cacate (SE riesci a vederla), hai una rappresentazione realistica della scemità.

Prima te ne accorgevi solo dopo i risultati elettorali o leggendo, sconsolato, degli incassi fatti dai cinepanettoni. Vivevamo nelle favole […]

(Qui il resto dell’articolo )

Possibile che sia solo questo? Narcisimo e barbarie dei singoli? Possibile che un solo mezzo abbia tutte queste colpe? Il mondo social in fondo non ha cambiato solo il modo di comunicare, bensì è diventato un vero e proprio mezzo anche in ambienti formali e lavorativi.

Nell’ambito giornalistico sono stati riconosciuti due termini ad hoc, ibridazione e disintermediazione. Nell’ultimo ventennio si è verificato un processo di transizione da un sistema politico tradizionale ad uno basato su una più attiva e diretta partecipazione dell’opinione pubblica.

download (4)I social media, in particolare Twitter, hanno favorito l’ibridazione mediatica, ossia un radicale mutamento dei tempi, degli spazi e dei modi d’intervento dei cittadini nel contesto istituzionale del Paese, ma anche delle modalità con cui i soggetti politici si presentano e dialogano con il proprio elettorato.

L’evoluzione tecnologica nell’era 2.0 ha fatto sì che al ruolo della leadership all’interno dei partiti corrisponda una nuova concezione di informazione on-line, basata sullinterattività, condizioni favorevoli alla disintermediazione. Quest’ultimo termine va ad indicare quel processo secondo cui la funzione dei soggetti intermedi fra il politico, l’istituzione ed il cittadino (ad esempio il partito politico) è stata man mano svuotata della propria importanza.

In realtà la rete mediatica 2.0 ha offerto terreno fertile per il definitivo sviluppo di fenomeni già presenti da tempo ed identificabili, ad esempio, nell’utilizzo dei sondaggi elettorali.

Ci si deve porre ora un dubbio, che il “vogliamo tutti” (ossia l’ampliamento e l’incremento della partecipazione popolare alla vita politica tramite i social media) non sia in realtà un “non vogliamo nessuno”: è possibile infatti che il fenomeno di disintermediazione produca, parallelamente, anche la disintegrazione e lo sfaldamento del ruolo attivo del cittadino.

Ritornando al mondo giornalistico e all’uso dei social come portatori di notizie, qualche giorno fa Jovanotti ha parlato dell’utilità della “gavetta” e le testate hanno estratto, decontestualizzandola, una sola frase, distorcendone il significato pur di fare rumors.

Dunque abbiamo iniziato con degli interrogativi e vi lascio con degli altri: è più «imbecille» e dannoso un anonimo «imbecille» su Facebook oppure un «sistema» che, per esigenze sensazionalistiche, si finge (speriamo) imbecille e giunge anche a decontestualizzare le parole di chi le pronuncia, al punto da renderle caricaturali?

Non è che molto semplicemente il problema è il contenuto e non il contenitore?

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Appassionata di viaggi e molto molto curiosa, ricerca sempre l'insolito, bistrattando ogni forma di clichè e consuetudine. Fabiana è una giornalista, blogger, chimica e ricercatrice. Bugia, Fabiana non è niente di tutto ciò :D

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