Elogio a Vujadin Boškov

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Se vinciamo siamo vincitori se perdiamo siamo perditori

Le mente semplice dei ragazzi si appassiona alle grandi imprese e il loro cuore si infiamma senza apparenti motivi, i ragazzi comprendono difficilmente l’amore che li anima, ma con grande facilità sentono e riconoscono il dolore. Nei primi anni novanta non avevo grossi crucci, mi preoccupavano le interrogazioni scolastiche e il come procurarmi abbastanza soldi per i costosissimi videogiochi dell’epoca. Il grande desiderio era il Super Famicom (versione import dell’allora inedito Super Nintendo italiano), con gli amici riempivamo i diari scolastici con foto delle schermate prese dalle riviste di settore, le più diffuse erano quelli di: F-zero, Super Ghouls’n Ghosts, Street Fighter II e Super Metroid . La suddetta console era il nostro più grande sogno dell’estate 1991, era l’unica che regalava qualche gioco di calcio degno di nota (il primissimo PES). In compagnia del mio amico Mario contavo i giorni che ci separavano dall’estate, avevo in testa un unico desiderio: quello di replicare le gesta dei gemelli del goal (Vialli e Mancini) sulla nostra Tv di casa!

Meglio perdere una partita 6-0 che sei partite 1-0.

Dove c’è amore c’è dolore, e ricordo ancora la sofferenza per quel goal di Ronald Koeman nella finale di coppa campioni ’91-’92 contro la Samp, tifavamo Italia e in quella maledetta sera partì dai piedi del biondo calciatore olandese una punizione saetta che piegò le mani al fortissimo Gianluca Pagliuca. Davanti al vecchio tubo catodico marcato Sharp del tinello di casa di mia nonna cominciai ad urlare, perdemmo una fetta d’orgoglio sportivo contro la Spagna e all’epoca non eravamo pronti, non eravamo abituati alle sconfitte. Ci dispiaceva sopratutto per il nostro idolo Vujadin Boškov, che per noi assomigliava più ad un vecchio zio che ad un allenatore di calcio. Vujadin con le sue perle di saggezza ci faceva ridere, ma allo stesso tempo ammiravamo e ci esaltavamo per le sue imprese sportive. Citavamo di continuo il nostro mito durante le nostre partitelle in strada, in quegli anni la sua Samp faceva tremare l’europa intera. Vujadin Boškov era l’allenatore dei «ragazzi terribili», i calciatori scapestrati e discontinui che più assomigliavano a noi “professionisti” dei campetti improvvisati e degli sterrati. La Samp di «zio» faceva paura a tutti: organizzazione di gioco, tattica, moduli modernissimi? Nulla di tutto questo, il mister era un vero condottiero, un motivatore pane e salame. Vujadin Boškov era una guida carismatica al servizio dell’estro di Vialli e Mancini e della tecnica di Toninho Cerezo e Beppe Dossena (ho ancora negli occhi la meravigliosa rete segnata al Malines).

Benny Carbone con le sue finte disorienta avversari ma anche i compagni

Gli anni novanta sono stati per noi trentenni il periodo d’oro del calcio italiano, tra amici si discuteva spesso perché non si sapeva scegliere tra chi meritava o non meritava la nazionale, erano tanti ed erano tutti forti i calciatori italiani della serie A, giocatori spettacolari non andavano in nazionale o ci andavano meno degli altri. Vujadin Boškov era un dei personaggi di rilievo di quel calcio, di quel tempo che a mio dire resterà irripetibile. Boskov era serbo, ma per noi era italianissimo. Idolo indiscusso di tutti gli appassionati del nostro calcio prescindendo dal tifo, perché era una persona vera, che riusciva ad ironizzare e riportare tutti a i toni giusti con educazione ed ironia.

Rigore è quando arbitro fischia

«Quando un bambino capisce che gli adulti sono imperfetti, diventa adolescente. Quando li perdona, diventa adulto. Quando perdona se stesso, diventa saggio» (Alden Nowlan). Quando un oldboy scopre che è morto uno dei suoi più grandi miti d’infanzia, lascia spegnere una lucina in fondo al cuore e la fanciullezza  si fa più lontana. Perdendo i personaggi che ci hanno fatto sognare e che reputavamo invincibili (Ultimate Worrior, Ayrton Senna, Paul Gascoigne) prendi per forza di cose coscienza del tempo che scorre veloce. Tutti invecchiamo, ma gli eroi, quelli veri non muoiono mai, continuano a vivere nella nostra memoria e nei nostri ricordi d’infanzia: ti abbiamo voluto bene zio Vujadin, ciao.


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