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Il Presidente più povero del mondo: Thomas Sankara

Sono convinta che pochi di voi saprebbero situare il Burkina Faso su di una cartina muta, e le poche informazioni che si hanno su questo piccolo paese dell’Africa Occidentale francofona ci danno l’immagine di uno dei paesi più sciagurati e con la capitale dal nome più buffo del mondo. Eppure questo paese ha dato i natali ad uno dei pensatori più coraggiosi, raffinati e rivoluzionari dell’era moderna, colui che meritatamente ha ottenuto il titolo di «Che Guevara africano». Parlo di Thomas Isidore Sankara, e come recita il titolo di un libro, «dovresti sapere chi è Sankara».

Presidente dell’Alto Volta dal 1983 al 1987, prese il potere con una rivoluzione e per prima cosa cambiò il nome del paese in Burkina Faso, «il paese degli integri». Le sue soluzioni per trasformare il «concentrato di tutte le disgrazie» (questa e altre citazioni sono rintracciabili nei pochi libri in italiano che hanno raccolto i suoi discorsi, consiglio su tutti Thomas Sankara. I discorsi e le idee, a cura di Marinella Correggia) sono state talmente semplici ma allo stesso tempo talmente innovative che vale la pena farne un breve resoconto, perché se chi vi scrive ha lasciato il cuore in Africa è soprattutto perché è convinta che questo continente possa insegnarci molto.

Innanzitutto Sankara fu il presidente sincero, onesto, integro e incorruttibile fino al parossismo. Definito da molti «il Presidente più povero del mondo», dichiarò guerra alle spese superflue, vendette le auto blu, eliminò gli sprechi di energia (staccò la corrente al palazzo imperiale del Mogho Naba, accusato di sprecarla), votò un massimale degli stipendi, si spostò sempre in bicicletta e quando chiese alla classe dirigente di elencare i propri possedimenti diede per primo il buon esempio: una moto, dei libri, una bicicletta.

I suoi obiettivi sembrarono irraggiungibili ai tempi: «contare sulle proprie forze», «democrazia diretta», «autosufficienza alimentare ed economia endogena» per arrivare a fornire a tutti i burkinabè «dieci litri di acqua e due pasti al giorno», salute, istruzione, casa, liberazione femminile (è stato il Presidente delle donne per eccellenza) e indipendenza culturale. Sankara fu un presidente pragmatico; «le tre lotte» per fermare il deserto, affrontate fin da subito, ebbero effetti immediati: proibire la deforestazione, incentivare la riforestazione, utilizzare energie alternative. Un’altra battaglia di successo fu quella per impedire l’importazione di materie prime («mangeremo i nostri manghi, non le loro mele») e utilizzare prodotti locali («faso dan fani», i ministri e i funzionari dovevano indossare la stoffa di cotone locale, non i vestiti di pessima qualità importati dall’estero). Emblematica fu «la battaglia della ferrovia»: opponendosi niente di meno che alla Banca Mondiale, egli si rifiutò di costruire una superstrada a favore di una ferrovia.

Sankara fu anche il presidente dei contadini e dei lavoratori. Tutti i cittadini dovevano lavorare almeno tre settimane all’anno nei cantieri popolari per ricostruire il paese e imparare la nobiltà del lavoro manuale. La sua breve presidenza raggiunse obiettivi insperati per un paese africano: la sanità, l’istruzione, la protezione del territorio e la condizione femminile subirono un’impennata. L’obiettivo dei dieci litri di acqua e due pasti al giorno fu rapidamente raggiunto. Il Burkina Faso, vivo Sankara, si rifiutò di firmare il programma di aggiustamento strutturale con il Fondo Monetario Internazionale: «Quel che chiedete l’abbiamo già fatto per conto nostro. Abbiamo risanato l’economia, non avete nulla da insegnarci. Il fondo persegue un controllo politico sui paesi…».

 

 

Le sue lotte non si possono riassumere qui facilmente. La più nota sicuramente è il rifiuto di pagare il debito estero, ma molte altre sono da annoverare nella lista degli impegni del carismatico presidente burkinabè, non ultima la campagna per il disarmo internazionale, quella per il mutuo aiuto fra i paesi del sud, quella contro gli aiuti allo sviluppo («inutili e imbevuti di colonialismo»: si può accettare solo «l’aiuto che aiuta a fare velocemente a meno dell’aiuto», non quello che «serve alle imprese del Nord e a esperti pagati in un mese cifre che basterebbero ognuna a costruire una scuola»).

Sankara fu ucciso in un colpo di stato il 15 ottobre 1987 assieme a dodici ufficiali dal suo ex compagno di lotta e attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, con l’aiuto di Francia e Stati Uniti d’America. Nessuno può sapere come sarebbe stato il Burkina Faso, e l’Africa intera, se il «Che Guevara africano» fosse ancora vivo, ma ci consoliamo pensando che nessuno ha potuto uccidere le sue parole:

«vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 chilometri quadrati, dove sette milioni di bambini, donne e uomini si sono rifiutati di morire di fame, di sete e di ignoranza» e dei «tremila esseri umani che ogni ora perdono la vita, abbattuti da un’arma formidabile chiamata fame».

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Sono una dottoranda in antropologia all'università di Bayreuth, Germania, e all'università di Milano-Bicocca. Mi occupo di schiavitù e di eredità della schiavitù in Nord Africa, con particolare attenzione alla Libia e alla Tunisia. Le mie ricerche mirano a identificare i moderni processi che coinvolgono i migranti sub-sahariani in Nord Africa, partendo da una prospettiva sia storica che antropologica. Appassionata di Medio Oriente, studiosa dell'Islam e dell'arabo, coniugo il mio lavoro sul campo e la passione per le arti tradizionali femminili svolgendo delle inchieste sui metodi di produzione tessili sia industriali che artigianali.

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