Storie di mafia: il Codice Provenzano.

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Bernardo Provenzano, noto boss della mafia arrestato nell’aprile 2006 dopo 43 anni di latitanza, utilizzava un codice segreto per comunicare con i suoi interlocutori.

Si tratta del codice Provenzano, cioè di frasi, lettere e numeri scritti su pezzi di carta attorcigliati con lo scotch, chiamati in gergo mafioso “pizzini”.




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Su questi pizzini Provenzano scriveva, facendo molti riferimenti ai passi contenuti nella Bibbia, dei messaggi criptati che solamente i suoi interlocutori riuscivano a comprendere, creando così un codice di comunicazione che solo i pochi “eletti” riuscivano a comprendere.

I numeri che erano presenti sui pizzini indicavano i destinatari: il numero 1 era lo stesso Bernardo Provenzano, dal numero 2 al 164 invece erano tutti gli altri mafiosi con cui aveva interesse a comunicare.

Ci sono volute delle indagini molto approfondite della polizia e di alcuni appassionati magistrati e giornalisti per interpretare il significato di quei numeri e per far corrispondere ai numeri i rispettivi nomi.

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Oltre ai numeri, erano moltissimi i riferimenti religiosi. Provenzano possedeva molte Bibbie, dove sottolineava alcune frasi religiose che avrebbe poi utilizzato nei suoi messaggi cifrati, come “i tuoi voleri”, la “Cupola solida in cui erano infisse le stelle” e molti riferimenti morali come il “divieto di fornicare”.

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Erano molti i “ringraziamenti a Nostro Signore Gesù Cristo”. Ma chi è il Gesù Cristo nominato da Provenzano? Era sicuramente un uomo che lo proteggeva da blitz della polizia, era qualcuno molto informato sulle telecamere nascoste che aveva piazzato la polizia durante un summit mafioso.

Si legge in un pizzino indirizzato a Giuffrè, braccio destro di Provenzano fino al suo pentimento avvenuto il 16 giugno 2002:

«Faccia guardare, se intorno all’azienda, ci avessero potuto mettere una o più telecamere, vicino o distante, falli impegnare ad osservare bene, e con questo, dire che non parlano, né dentro, né vicino alle macchine, anche in casa, non parlano ad alta voce, non parlare nemmeno vicino a case né buone né diroccate, istruiscili, niente per me ringraziamenti. Ringrazia a Nostro Signore Gesù Cristo».

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Nei pizzini si possono notare molti errori grammaticali. Inizialmente si pensava che fossero dovuti al fatto che Provenzano non aveva nemmeno completato la seconda elementare, ma dopo le investigazioni è stato scoperto che è un ulteriore sistema di messaggi criptati inventato dal boss di Corleone. L’arte dello storpiare le parole:

“quei messaggi sgrammaticati, quelle parole in siciliano duro, quei pensieri attorcigliati che riempivano i suoi messaggi erano tutti concordati. Erano il Codice”.

In una intercettazione di Pino Lipari – uno degli insospettabili al servizio del clan – e suo figlio Arturo si sente che:

 «Io sgrammaticatizzo.. è fatto apposta, hai capito? Sbagliare qualche verbo, qualche cosa… mi hai capito Arturo?». Come se dietro ogni errore ci fosse una chiave per decifrare, come se dietro ogni parola malamente scritta ci fosse un segreto. E’ ancora dalle chiacchiere captate da una microspia che affiorano altri sospetti. Ed è sempre Pino Lipari che discute con il figlio Arturo a proposito di uno dei pizzini di Provenzano: «L’hai letto tu? Però non era tutto completo, vero?».

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Nomi, lettere, numeri, segni: niente era lasciato al caso quando era Provenzano a scrivere e a decidere per la vita o la morte di qualcuno. È dura pensare che è su alcuni pezzi di carta attorcigliati con lo scotch che è stato deciso il destino di alcuni uomini.

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