Racconti: Rapporti con l’editore

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gattonero




L’uomo entra nell’appartamento. Conosce il posto. È già stato lì parecchie volte, in occasioni diverse, con altre intenzioni. Amichevoli nella maggior parte dei casi. L’appartamento è immerso nel buio. Ovvio. Ogni sua storia comincia con l’appartamento nel buio della notte. Forse c’è qualcosa di psicanalizzabile. Disturberebbe volentieri Mr. Freud, se pensasse che ne caverebbe qualcosa. Ma non crede. Neanche ci spera.  Ripensa alle sedute che la sua donna fece anni fa con un tizio che paragonava ogni azione ad un passo biblico. Che cazzate. Perché non l’Odissea allora? Perché non Topolino? Le labbra si increspano in un sorriso freddo. Guarda un po’ dove ti porta la mente se allenti le briglie. No, qui è stato tutto stabilito. Non si può deviare dal percorso, né distrarsi. Sei arrivato fin qui, ora fai quello che devi e poi a casa, che tua moglie ti aspetta.

Un passo cauto. Fuori le luci dei lampioni. Dentro tenui lame giallastre che lo aiutano a non urtare contro qualcosa. Il bagno e lo studio si affacciano cupi sul disimpegno. Le travi del soffitto rilasciano una eco di resina invecchiata, misto all’aroma del tabacco da pipa, che per fortuna lui fuma con meno insistenza. Un respiro e un movimento dalla camera. L’uomo si irrigidisce trattenendo il fiato. Tutto a posto. Dorme, lui.





In cucina tutto è in ordine, come sempre. Un po’ pignolo l’amico. Con uno sguardo rapido l’uomo abbraccia l’ambiente. Può darsi che tutto questo gli mancherà un giorno. Lo affronterà quel momento. Certo le serate passate a chiacchierare, a giocare, a discutere per fino, sono state bei momenti, dei quali conserverà memoria nei tempi a venire. Ma ora tutto questo è superato da un livore sordo, accumulato alla base dello stomaco da mesi ormai, il cui seme gettato tempo addietro è ora germogliato e sta per dare il suo nero frutto. Un frutto di rancore. E odio. La porta della camera è socchiusa. Non aveva notato prima che dalla stanza proviene un tenue bagliore. Si avvicina cauto e cerca di guardare dentro. È difficile ma ormai non può più tirarsi indietro. Scosta piano il pannello e vi getta un rapido sguardo. Tutto bene. Dorme, lui.

L’abatjour di poco prezzo lo illumina. Lui è sdraiato nel suo letto. La testa è appoggiata ai cuscini, reclinata. In grembo tiene mollemente un libro. Americana di De Lillo. Pur mancando poche pagine alla fine del libro, lui non è riuscito a tenersi sveglio. Il Sonno l’ha accolto in un dolce abbraccio. L’uomo in piedi è assalito dall’odio più puro e cristallino. Ci si potrebbe scrivere un racconto. Si avvicina e prende un cuscino. Lo posa sul viso di lui e preme. Lui si contorce nel sonno. Poi si sveglia. Lo vede e lo riconosce. L’uomo mantiene la sua stretta mortale, cercando di imprimersi nella mente i particolari di quella scena. Anche questa potrebbe finire in un racconto.

Lui strabuzza gli occhi. Alcune lacrime cadono. Dolore? Paura? Pietà? Di certo lui riconosce l’uomo che gli sta facendo questo. Forse non capisce perché e l’uomo nel suo odio sublime non intende fornirgli risposte. Dopo un istante che è più lungo di una vita intera, lui si accascia. Morto. L’uomo tiene il cuscino premuto. Sembra sentire il peso delle sue azioni, senza capirne tutte le implicazioni. È abbastanza postmoderno questo? Ormai è fatta, pensa. Si allontana dal letto. La gattina bianca e nera gli si avvicina e comincia ad accarezzarlo con il muso, poi la testa, il collo, il corpo. La coda infine. L’uomo si abbassa e la accarezza. Dolce intermezzo. L’altro gattino arriva trotterellando, passo giovane e disinvolto. Ignaro. Avete fame? Dice l’uomo. Prende una scatola di cibo per gatti dalla dispensa e ne rovescia il contenuto nelle ciotole. Cambia anche l’acqua. Un ultimo buffetto affettuoso al gattino. Se ne va.

Fonte: RaccontiBrevi Blog

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