Racconti: Sognando il Cigno di Utrecht – II Parte

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Certo lo sport è cambiato negli anni ed ha creato i suoi miti e le sue leggende, assumendo questi un tratto nostalgico oggi ampiamente dilagante. Compare spesso oggi sulle curve lo slogan: No al Calcio Moderno, slogan che gli abili pubblicitari della nota birra nazional popolare della nazionalnazionale di calcio non hanno esitato populisticamente ad imitare nei loro spot televisivi. Vorrei dire loro una cosa: cari signori il calcio non è cambiato ma è la società ad essere cambiata; lo sport professionistico è tale proprio per questo: perché praticato da professionisti pagati per farlo. Avere una cultura sportiva significa avere praticato uno sport a livello agonistico e conoscere la fatica, l’applicazione ed il sacrificio che hanno fatto quei ragazzi per arrivare dove sono, loro, quei pochissimi fortunati tra centinaia di migliaia di praticanti. Certo non auspicherei aberrazioni quali il basket ed il football americani, che per quanto spettacolari, si fa fatica a distinguere se duri di più la partita o i time out. Non v’è dubbio però che in quegli stadi e quei palazzetti nessuno si sognerebbe di prendersi a sprangate o a coltellate col tifoso avversario. Questo perché c’è cultura sportiva o più semplicemente perché si è andati alla partita dopo una giornata di lavoro e ci si vuole solo rilassare. Il mestiere del tifoso è una cosa che accomuna il Sud America e le città più violente e culturalmente degradate d’Europa; è di alcuni mesi fa la telefonata di Papa Bergoglio al capo ultrà dell’Indipendiente, Il Corvo, per chiedergli di smetterla di ammazzare gente allo stadio. Ci pensate??? “Pronto Corvo?? Sono Io, il Papa: la devi smettere di fare il cretino”.





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Piuttosto che confidare nell’aiuto di sua santità per cambiare le cose, servirebbe che più giovani facessero veramente sport; che lo stato investisse fondi e realizzasse infrastrutture; che magari le scuole fossero aperte veramente e che magari i mitici prof. di educazione fisica, voraci divoratori di riviste e quotidiani, fossero stimolati a fare meglio e più proficuamente il lavoro per il quale sono pagati. Infine mi rivolgo a te, ex ciccione adolescente; ex ipertrofico proteico postadolescente; tu che dopo avere gonfiato i pettorali seducendo così una cozza travestita da fotomodella; tu che dopo qualche anno hai appeso la palestra e adesso sei ciccione ed ipertrofico assieme; mi rivolgo anche a te, frustrato dei giardinetti; tu che scartavi tutti in cinquecento metri quadri, ma che quando si è trattato di fare il fiato per percorrerne cinquemila ti è mancata la determinazione; mi rivolgo a voi, mentre spegnete la sigaretta dopo aver fatto l’ultimo sorso di limoncello post pranzo domenicale.

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Prima di bestemmiare il giocatore di turno per non essere arrivato su quel pallone, pensate agli infarti ed alle contratture plurime che vi sareste provocati voi a rincorrere quello stramaledettissimo pallone. Fermatevi per un momento, e pensate a quell’istante infinito in cui si alzò in volo il Cigno di Utrecht, pensate all’infinita poesia che donò al cuore di quei tanti bambini di dieci anni che come me erano una pippa a giocare, ma che continuano a farlo, quando è possibile, per un solo motivo: ci si diverte tantissimo! Infine, per rispondere ai pubblicitari della nota azienda di telefonia mobile nazionalnazionale: il calcio non è di chi lo ama, ma di chi lo gioca. Se tutti amassero il calcio senza giocarlo, se tutti guardassero lo sport senza praticarlo, non avremmo più uno sport.

Leggi la prima parte di Sognando il Cigno di Utrecht

 

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